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È legittimo parlare di "età berlusconiana" allo stesso modo in cui si parla di "età crispina" o di "età giolittiana"? E quando comincia questa età? Quali ne sono i precedenti, lo svolgimento, i connotati fondamentali? Quali il bilancio e il possibile epilogo? A queste domande tenta di rispondere il saggio di Antonio Gibelli. Lo fa adoperando il linguaggio ricco di dettagli ma orientato alla sintesi, valutativo ma non animoso, denso di elementi di analisi ma attento alla narrazione - che si dovrebbe adoperare in una lezione di storia: il cui scopo è far capire in cosa un protagonista e un momento sono simili ad altri, e in cosa invece sono diversi. Nel sapere storico, porre bene gli interrogativi significa aver fatto un passo avanti decisivo nella comprensione del passato, anche quando si tratta di un passato che si inoltra nel presente e si dipana di fronte a noi. Uno dei nostri storici contemporanei più autorevoli si cimenta qui con un'impresa solo apparentemente semplice. Egli immagina di dover raccontare ai suoi studenti, in un breve corso sulla storia d'Italia dall'Unità a oggi, gli ultimi quindici anni. Un buon professore di storia si incaricherà di "dare un nome" a questo ultimo quindicennio, di chiarirne l'origine, di fare un ritratto dei protagonisti principali, e infine di fornire un insieme di ragioni per spiegare il successo dei vincitori e la sconfitta dei perdenti. Il quadro che ne scaturisce legittima l'idea che Berlusconi possa ragionevolmente pretendere di "intestarsi un'epoca".